Caro diario,
cosa c’è di peggio di una handicappata frustrata? Una handicappata frustrata e ubriaca che canta al karaoke! Sono tornata a casa quando già il mio dirimpettaio autistico stava facendo la prima capatina in terrazza, così avevo cominciato a raccontare a lui della mia nottata, ma la madre l’ha chiamato, credo per la toeletta domenicale. Così eccomi qua a vomitare su queste pagine quel poco che è rimasto nel mio stomaco e nella mia labile mente. Fermi tutti. Devo chiamare la zia e avvisarla che non sarò reperibile per il pranzo, causa eccesso di moijto.
Ecco l’ha presa male: dice che almeno una volta il mese ha piacere di vedermi la domenica. Io le ho detto che un tempo avrei avuto piacere di vederla anche più di una volta il mese, ma il piacere è passato e ora resta solo il mal di testa. Lei ha ricominciato a dirmi che non è giusto farla sentire in colpa ed io, con calma, ho raccolto le mie forze, ho fatto un lungo respiro e …le ho sbattuto giù il telefono.
Torniamo alla serata di ieri: cena con le amiche disperate. Silvana, Michy e la sottoscritta al giapponese, impegnate a parlare di larghezza, lunghezza e volume indovina di che cosa.
Il pesce crudo fa aumentare la voglia di vino, il vino fa aumentare la voglia di cazzo e la voglia di cazzo viene inconsciamente sublimata tenendo un microfono in mano. Così eccoci continuare la serata al solito bar ripieno di marci e bavosi puttanieri e di adolescenti sprovvedute, con la spasmodica e incontrollabile voglia di fare karaoke. Ora, grazie ai postumi, non riesco a pensare a nulla di peggio, ma in quel momento credo di essere stata quasi felice. Il superalcolico in una mano e il microfono nell’altra…ehm…no! Le mie manine atrofiche non hanno mai ambito a tanto: credo di essermi prima trangugiata il moijto a due mani e poi di essermi avventata sul microfono.
Il resto è stato tutto Masini, Mango, Mannoia e affini. Quanto amo le mie amiche!
Dopo aver dato il peggio di noi, abbiamo deciso come sempre di riprenderci al Terrazzabar, ingoiando una cofana di brioches a testa. Questa volta però qualcosa è andato storto, perché credo di essere arrivata e, ancora prima di aver ordinato, di essermi diretta a motori rombanti verso il bagno, uno dei pochi della città con il lavandino a portata di “conato di disabile”. Tra quelle scure mura, mentre Michy seduta sul cesso biascicava versi incomprensibili e Silvana, nella sala a fianco, si strozzava di “integrali al miele” credo di aver vomitato per mezz’ora buona.
Il vomito, come sempre, mi ha permesso di riacquistare quella semi-lucidità che conservo tuttora e, come se non bastasse, mi ha caricato di adrenalina come un cavallo alla partenza. Chissà se dipende dalla mia malattia o è solo una beffa del destino?
Comunque ora sono quasi le 11.00. Pino, dopo avermi vista tornare in quello stato, mi ha portata in bagno, cambiata e rimessa in carrozzina, senza fare domande. Ormai si è abituato.
Giuseppe Spadino, detto Pino è il mio badante ma non rientra nello standard tipico dei badanti. Fa l’attore, dice che un giorno diventerà famoso e, tanto che aspetta la gloria, arrotonda con me. Anche vedendomi arrivare in questo stato non ha potuto rinunciare a impartirmi le sue lezioni di dizione, com’è abitudine da quando sta da me. Certo che questa mattina, durante il bidè, avevo più voglia di morire che di sapere la differenza che intercorre tra “pene” con la “e” aperta e chiusa.
Terminato il tutto se n’è andato a vivere il suo giorno di festa. Michy e Silva sono di là collassate, il dirimpettaio si starà ancora facendo il bagno e a me inizia finalmente a venire un po’ di sonno. Sì, ma ora chi cazzo mi mette a letto?
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