Mi chiamo Laura, ho trenta anni e da dieci convivo con la distrofia muscolare. Una delle convivenze che ti arrivano senza avvisare e non ti è permesso rifiutarle. Un inquilino sconosciuto che si piazza in salotto e piano piano prende possesso di tutta casa. Inizialmente fai di tutto per prenderlo a calci e buttarlo fuori, ma presto non hai più neanche la forza per farlo e devi arrenderti alla sua invadente presenza.
Dicono che «se non puoi sconfiggere il nemico, fattelo amico» e questo è stato il mio obiettivo negli ultimi dieci anni. Credere che siamo poi diventati amici, io e l “inquilino” del mio corpo, forse è troppo. Diciamo che c’è una tolleranza sufficiente di reciproca sopportazione.
Da cinque anni ho motorizzato le mie gambe, la carrozzina manuale non era più una forma di libertà ma diventata una continua attesa che qualcuno mi portasse dove volevo, o più frequentemente, dove decidevano gli altri.
Credo di essere una bella ragazza, nonostante il nuovo compagno di viaggio faccia di tutto per cambiarmi i connotati. Cerco di guardare il mio corpo ogni giorno. Se lasciassi passare troppo tempo, ho paura che non lo riconosca più, o meglio dire, non sarebbe facile abituarsi ai suoi grandi cambiamenti. Più semplice è osservare queste mutazioni giorno dopo giorno, come una pillola amara quotidiana, cercando di fartela sembrare dolce nel tempo.
Nella vita capita di sovente che le persone si creino problemi, da sole. Scelte sbagliate, amicizie sbagliate, amori sbagliati. Nei miei primi vent’anni non avevo fatto nulla di tutto ciò. Pochi amici ma eccellenti. Gli studi andavano alla grande. L’amore era appena sbocciato e almeno fino a quel momento, sembrava il grande amore. Non ho mai fatto arrabbiare i miei, non fumavo, non bevevo e rispettavo il prossimo.
Ti dicono sempre che se fai del bene ti ritornerà del bene. Che raccogli quel che semini. Che sei l’artefice del tuo destino. Allora mi chiedo: dove ho sbagliato? Mi domando quale utilità tutta questa vita virtuosa, se come risultato mi è stato servito un piatto indigesto ogni giorno restante dei miei anni. Tanto valeva godermela ogni attimo senza risparmiarmi le forze, quelle forze che ora non ho più ugualmente. E’ un po’ come fare una scorta di viveri per anni e poi all’improvviso ti accorgi che è andato tutto a male, che è tutto da buttare, indigesto. Avrei potuto correre a perdifiato sulle spiagge fino a farmi venire i crampi alle gambe, invece di curarmele come cristalli in una vetrina. Ballare in discoteca fino alle 5 del mattino e non tornare a casa a mezzanotte come una Principessa che pensa ci sarà tutta la vita per ballare. Non è così, i balli sono finiti, le luci si sono spente.
Non disperate però per me, quel pessimismo cosmico portato dall’”inquilino” invasivo, si è trasformato nel tempo in qualche energia di spinta positiva. Il mio guscio non è più lo stesso, non è quello in cui sono nata, ma all’interno ci sono sempre io. Questa è l’unica costante nella mia variabile vita. Neanche il mio fidanzato è più lo stesso: lui si è sentito uno straniero di fronte alla forma nuova della sua compagna e non è riuscito, o non ha voluto, cercare di capire e convivere felicemente con tale mutazione. Non c’incastravamo più e considerato le mie nuove forme, non intendo solo caratterialmente. Poco male. Quando non si piace più a qualcuno, si piace a qualcun altro. Da due anni sono fidanzata felicemente con un ragazzo romano. Tanto felicemente che ho iniziato a cercare degli appartamenti in vendita a Roma.
I miei non sono molto entusiasti di questa scelta e me ne dispiace ma ho smesso di fare la Principessa perfetta, perfetta non lo sono più. Adesso sono vera.
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