disegno di ragazza in carrozzinaPenso che il mio dirimpettaio sia autistico o qualcosa del genere: passa le sue giornate sul balcone a guardare la strada ed io, spesso, passo buona parte delle mie guardando lui che dal balcone guarda la strada. Non solo: gli parlo, gli faccio domande e sottopongo alla sua attenzione quesiti esistenziali che riguardano la mia vita o la sorte dell’intera umanità. Ovviamente lui non può sentirmi, ma non credo che se potesse le sue risposte sarebbero particolarmente brillanti, dopotutto, autistico o no, cosa gli potrebbe mai importare di una povera anima che alle otto del mattino gira come una squilibrata per la terrazza narrando le vicissitudini di una vita surreale e vomitando i suoi perché? So che da lui non avrò mai risposte che non sono nemmeno tanto convinta di volere e allora tanto vale dirigere i miei conati verso qualcosa che almeno ne possa restare in qualche modo segnata, come le pagine di un web-diario, su uni sito in cui scrivono e che leggono quelli “come me”, qualunque cosa questo possa significare.

Silvana qualche giorno fa, quando le ho detto dell’idea, mi ha domandato se non mi sentissi un po’ grandicella per tenere un diario. Prima l’ho insultata pesantemente poi mi sono detta che, in fondo, nella mia vita non sono mai stata troppo grande per nulla, anzi, qualcuno si stupisce ancora che vada in giro per la strada da sola, senza l’aiuto di un “adulto”. Mai stata abbastanza grande per lavorare, per vivere da sola, per difendermi, per prendere posizione, per  mettere il rossetto color prugna o la minigonna a giro passera, senza contare che, ovviamente, non sono mai stata abbastanza grande per il sesso. Alla luce di questa incredibile intuizione, quando Silvana mi è venuta a dire che un diario è roba da adolescenti e non da ventiseienni, non ho potuto fare a meno di ricordarle tutti gli atteggiamenti immaturi in cui si è esibita lei da quando la conosco.

Ecco, se non altro questo diario sarà traccia tangibile delle vaccate che escono dalla boccuccia dei fenomeni da baraccone che mi gravitano intorno, perché spesso sono talmente maestose che pare brutto sprecarle nelle confidenze con il dirimpettaio autistico, non perché non lo ritenga degno, ma perché trovo che certe perle vadano conservate e tramandate con lo scopo di inondare anche i posteri di cotanti aulici concetti.

Silvana a parte, lo so che per l’immaginario collettivo un diario è una cosa da adolescenti, ma siccome le adolescenti di oggi sono troppo impegnate a vestirsi come delle prostitute e a studiare i milleuno modi di fare sesso orale, non credo si offenderanno se mi approprio di questa loro occupazione. Ora che ci penso, da adolescente tenevo un diario finito chissà dove dopo il trasloco dalla prima comunità alla seconda. Sinceramente non ricordo cosa ci scrivevo, dopotutto ai tempi i miei più grandi impegni erano cercare di non impazzire, fare i test del Cioè, sognare di vivere a Beverly Hills (ovviamente adottata dalla famiglia Forrester di Beautiful) e cercare di capire quale tremenda azione avessi commesso nella mia vita precedente per essere così sfigata in quella attuale. Ovviamente la prima occupazione doveva lottare ogni giorno contro le altre tre che per numero, intensità e durata erano decisamente più rilevanti all’interno della mia vita. Cercare di non impazzire sarebbe stato difficile a prescindere: i miei genitori avevano deciso ormai da tempo che continuare a badare a me avrebbe gravato troppo sull’equilibrio della loro perfetta famigliola. Io ero in piena crisi adolescenziale e la mia compagna di camera comunicava con me solo emettendo suoni gutturali e sbavando incessantemente. I test del Cioè in cui risultavo essere “ottima baciatrice” o “tipa che ammalia” erano l’unico nutrimento possibile per la mia autostima e i sogni californiani a occhi aperti l’unico modo per respirare ossigeno dimenticando per un po’ l’odore del disinfettante. Ancora adesso mi chiedo perché nelle comunità per disabili debbano per forza utilizzare lo stesso disinfettante degli ospedali, ma dico io, se devono essere luoghi accoglienti in cui gli ospiti si possano sentire a loro agio così tanto da considerarli una casa, perché invece di sapere di biscotti e di fiori ricordano l’attesa prima dell’appendicectomia?

La mia quarta occupazione, cioè il cercare di capire cosa avessi commesso per meritarmi questo, in realtà mi accompagna ancora oggi, in maniera diversa, più velata, ma continuando a farcire comunque la mia testolina di paranoie da dirimpettaio autistico. C’è stato un periodo in cui ero convintissima di essere stata una strega ninfomane che ammaliava gli uomini, se li scopava e poi usava i loro corpi per creare pozioni magiche. Poi mi sono domandata se bastava così poco per giustificare una malattia genetica incurabile e progressiva, un abbandono da parte dei miei signori genitori e una vita passata in comunità in cui educatrici poco più che maggiorenni avrebbero dovuto rappresentare la mia figura materna.

Comunque oggi, alla veneranda età di 26 anni, io, Claudia detta Clo, sento la necessità di mettere nero su bianco alcune delle cose che mi accadono, cosa ne uscirà lo scopriremo solo io, queste pagine, i lettori di questo nuovo sito (milioni???miliardi???) e qualche altro sfortunato lettore che fra un centinaio di anni, quando starò scorazzando con la mia carrozzina elettrica nei verdi pascoli, s’imbatterà fortuitamente nel mio labirinto di parole, pensieri, immagini, emozioni e cazzate belle e buone.

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Il secondo capito: Aprile e il risveglio dei sensi