parole e amore

E’ difficile raccontare com’è entrato M. nella mia vita. è molto difficile, perché il ricordo di quegli anni si porta con sé una serie di emozioni indescrivibili e pazzesche, complicate da gestire, soprattutto quando l’intento è raccontarle…

Tutto è iniziato una sera di marzo (o febbraio, non mi ricordo più) del 2006.

Avevo 20 anni e come tutte le ragazze di quell’età ero su internet, dopo cena, alla ricerca di qualcosa d’interessante da leggere. Essendo molto interessata alla disabilità già da parecchio tempo, mi sono ritrovata su un sito del settore a leggerne il forum. Leggendo leggendo, sono “inciampata” su un commento molto triste, arrabbiato e interessante.. M., con un nick che non ricordo, raccontava della sua incazzatura verso gli ambienti ecclesiastici, molto lontani dalla comprensione delle esigenze delle persone disabili, sempre pronti a criticare e condannare tutto, soprattutto ciò che concerne il sesso.

Quel commento, che vedevo scritto con la rabbia e con il sangue, mi ha colpito particolarmente. Presa dalla voglia di dire la mia (difetto o pregio, che non mi ha mai lasciato sola, da tutta una vita!), entusiasta dal volontariato che avevo cominciato a fare proprio nell’ambiente, ho preso un bel file word nuovo e mi sono messa a scrivere una risposta, piena di belle parole dense di utopia e di coraggio.

M. mi ha risposto quasi immediatamente, e così abbiamo iniziato a parlare su messenger. Poi, alla seconda o terza mail, ho deciso di aggiungere il mio numero di telefono. Incauta quanto azzardata decisione, presa nel giro di un secondo e mezzo, probabilmente incoraggiata da Qualcuno o Qualcosa di superiore a me, che mi ha spinto in questa direzione assolutamente sconsigliata dai più. E così, nel giro di un paio di ore, ricevo la sua chiamata.

«Pronto!?» rispondo, con la voce più allegra del mondo. Non so perché.

Nessuna risposta.

«Pronto!?» ripeto, questa volta con tono un po’ interrogativo.

Dall’altra parte, solo un mugugno.

«M., sei tu?» chiedo incerta.

«Sì!» energico, e poi chiude.

Le cose a questo punto sono due, penso: o non parla (ma nelle sue mail ha sempre detto che era disabile, senza specificare “quanto”), o era così agitato che non gli sono venute fuori le parole (ipotesi ingenua, forse).

Alla seconda telefonata, ho capito che le uniche parole che gli potevano venire fuori, emozione o no, erano solamente Sì e No.

Così sono cominciate le nostre continue quanto telegrafiche telefonate, dove io m’inventavo una serie di domande cui lui poteva rispondere solo con Sì e No. Per il resto, messaggi al cellulare, email e chiacchierate su msn. Tutto intriso di una pazzesca voglia di parlare, desiderio di avere qualcuno con cui condividere interrogativi e desideri, problemi di ogni tipo.

Più passava il tempo, più la voglia di parlare aumentava. e non bastavano le mie domande da Sì e No. Ovviamente. M., la cui fantasia non ha mai avuto alcun handicap, si è inventato un modo pazzesco per raccontarmi quello che gli passava per la testa e per il cuore: mi chiamava, poi metteva una canzone tramite il computer e mi faceva riascoltare sempre una strofa, o una frase, che conteneva il senso di quello che lui avrebbe voluto dirmi. Ho riascoltato “Farfallina” di Carboni almeno venti volte: «..ho bisogno di affetto..» cantava Luca, e M. piangeva.

Non mi sono stufata di questo modo insolito quanto dispendioso di parlare. non so perché. Avevo 20 anni, studiavo Psicologia e mi piaceva la disabilità, forse per motivi reconditi per i quali bisognerebbe chiedere al mio inconscio. Inoltre, avevo una fede sconfinata e cieca in Dio, la mia vita non aveva ancora conosciuto il lutto, la disperazione, la sofferenza così come Dio li ha creati. Forte di tutto questo, e aiutata da Dio sicuramente, riuscivo a placare quell’angoscia, quella rabbia, quella voglia di amare una donna. Un desiderio che sembrava più una magica utopia che una concreta possibilità. Tutto così disperato. in una vita relegata in un istituto per disabili, dove la famiglia ti viene a trovare una volta al mese, dove tutto quello di cui avresti realmente bisogno non è tanto essere vestito e imboccato, ma è essere amato sul serio.

Finalmente, dopo mesi di canzoni al telefono, una volta mi arriva un sms illuminante, da M.: PER CAPIRMI DEVI DIRMI L’ALFABETO.

Wow! Lì per lì, mi vergognavo un po’ a dire l’alfabeto al telefono. Non sono cose di tutti i giorni, in effetti. Ma poi ho cominciato a vederla come una cosa naturale, anche se ho aspettato le emergenze per dire l’alfabeto sul treno, sull’autobus o in un angolo del centro commerciale più affollato il sabato pomeriggio.

Finalmente, le conversazioni erano vere. Io dicevo l’alfabeto, e appena arrivava la lettera della parola che M. voleva dire, lui mi diceva “Sì” (o qualcosa di simile) ed io ricominciavo da capo. Così formavo le parole. Naturalmente, dopo la consonante c’è spesso una vocale, dopo la c, se non c’è la vocale, ci può essere o l’h, o la r, o la l. Sono diventata esperta di combinazioni!!

Così le telefonate duravano un’ora, due ore… La Vodafone mi ha ringraziato, sicuramente.

Ho ancora un quaderno, dove annotavo tutto, per evitare di dimenticarmi quello che aveva appena finito di dire. Conversazioni pazzesche con domande ancor più pazzesche, per sapere perché mai Dio abbia permesso che lui nascesse così, per sapere perché una donna non vuole lui che è disabile, per sapere cosa c’è dopo la morte. il tutto guarnito a volte da battute in dialetto e simpatiche cose incomprensibili. Già, perché noi viviamo a 1600 km di distanza, e per andare a trovarlo la prima volta ho dovuto aspettare due anni. Due anni di litigate furiose con mio padre, che mi chiedeva che cosa dovessi o volessi farci io con questo tizio che sta così lontano e che è pure disabile!!

Sant’ostinazione dei miei 20 anni!! Se avessi dato retta al buon senso, o a mio padre (che a volte è sinonimo), mi sarei persa le emozioni più belle della mia vita.

Comunque. un giorno di settembre, finalmente, ci siamo incontrati. Dopo quasi due anni di chiacchierate. E da quel giorno, sono tornata a trovarlo spesso. sempre più spesso, ora che le sue condizioni si sono aggravate e mi manca il respiro solo a immaginarmi senza di lui.

Non ci siamo innamorati, non ci siamo fidanzati. Non nel senso comune del termine. In effetti, le poesie che mi ha dedicato parlano dell’amore come pochi poeti hanno saputo raccontarlo; il suo cuore è puro come quello di un bambino di dieci anni, i suoi occhi meravigliosi mi guardano come se non avessero mai visto nulla di più bello, la sua dolcezza e la sua fragilità combattono ogni giorno con la sua rabbia e il suo dolore. Io lo considero un pezzo della mia vita, un pezzo di me. Il sesso è sempre stato un enorme problema fra di noi, perché io non mi sono mai sentita capace di amarlo fino a questo punto.

Nonostante le mie incapacità, le nostre mani sono sempre una nell’altra. Anche da lontano.

Mi ha stravolto la vita, è innegabile. Senza di lui, sarei una semplice ragazza di 26 anni che fa volontariato con i disabili ed è laureata in Psicologia. Grazie a lui, sono una donna di 26 anni che conosce molto bene le sue priorità, che ha una forza incredibile dentro il cuore, che riesce a piangere senza farsi notare quando è necessario. Io sono migliore, grazie a lui. Non è retorica, è verità. Mi ha insegnato a imboccare, quando avevo il terrore di farlo; mi ha insegnato ad avere pazienza, quando non ne avevo abbastanza. Ho imparato a fare di tutto, anche le cose che mi facevano terrore. Ho imparato anche ad arrabbiarmi con Dio, a urlare di disperazione, ho imparato perfino a chiedere aiuto agli altri. Ed è tutto, totalmente, grazie a lui, il mio più grande tesoro.

Tutto quello che è successo in questi sei anni, meriterebbe un libro. I dolori e i terrori che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo, meritano un racconto che non ho ancora la forza di scrivere. E’ tutto così vero, così presente e così angosciante che non posso raccontarlo ancora. Forse più in là, quando i tempi saranno maturi.

Per adesso, ho voluto condividere con voi questo pezzo della mia vita perché possa essere un segno di speranza. nonostante i chilometri e le difficoltà enormi, noi siamo riusciti a volerci bene e a essere amici.