Cominciamo con il dire che la disabilità non è stata mai estranea nella mia vita. Sono stata sempre impegnata nel volontariato e ho sempre messo le mie capacità a servizio degli altri.
Ho un matrimonio alle spalle, dei figli, ho assaporato l’amaro fiele delle sconfitte della vita, ho cambiato più volte città e finalmente sono approdata in quella città del Nord Italia che pensavo finalmente facesse a caso mio. Non scappavo dai luoghi, dalle città, scappavo da me stessa. Arrivata lì, ho finito di scappare.
Lui l’ho conosciuto un pomeriggio d’estate. Prima che arrivasse in corsia, nella quale era degente uno dei suoi genitori, sentivo il fruscio che i suoi braccialetti metallici emettevano incontrando l’acciaio delle ruote della carrozzina. Assisteva il suo familiare per un turno intero, chiamava di rado, solo per necessità. Quando il genitore dormiva, lui usciva dalla camera, si posizionava contro il muro ed armeggiava con il telefonino. Durante la degenza, forse ci siamo scambiati solo qualche parola, non sapevo neppure il suo nome. Solo il cognome. Eppure mi aveva presa. Quella serietà, quello spirito d’assistenza verso il familiare, quella normalità mi aveva catturata come fanno le maglie di una rete. Non avevo occhi che per lui, per quella stanza e per riflesso verso quel paziente che Lui con tanta abnegazione assisteva. Un giorno entrai in camera e da quel letto mi arrivò un sorriso, quel genitore, alla fine dei suoi giorni aveva capito. Io mi ero innamorata del figlio, così a prima vista.
Provai a raccontarlo timidamente alle mie colleghe, che conoscevano il mio vissuto: “Sei Pazza? Ma dove ti vuoi andare ad impelagare…” Fu la loro sentenza.
Eppure io ho voluto dare retta al mio cuore e l’ho cercato. Ero riuscita a sapere il suo nome. Nome + cognome + foto riuscii a trovarlo su face book. Lo contattai con una scusa, ma si capiva che sotto c’era dell’altro. E lui non si fece pregare e non si fece sfuggire l’occasione. Mi invitò ad uscire la sera dopo, diceva che non si ricordava, che in corsia c’era sempre tanta gente e che lui era preso dai suoi problemi familiari. La prima settimana siamo usciti tutte le sere. Si sorbiva 60 km tra andata e ritorno per toccare tre paesi, il suo, il mio e quello nel quale era stato trasferito il genitore in lungo-degenza. C’era qualcosa e lo abbiamo capito sin da subito. Quella scintilla che scocca inevitabilmente tra un uomo ed una donna che si piacciono e non importa se di mezzo ci sono 30 anni di paraplegia. Sembravamo scemi d’amore i primi giorni, quando ci dicevano: scusa se ti ho baciato sulle guance due volte, scusa se ti ho lisciato i capelli…
I problemi ci sono stati e li abbiamo affrontati. La volta che dovevo presentarlo ai mie figli lui si prese una gastrite acuta, era la vigilia di Natale. Quante volte è stato lì lì per gettare la spugna per la paura di non riuscire a soddisfarmi in toto e quante volte abbiamo rinsaldato il rapporto e lo abbiamo reso più forte di prima!
Sono caparbia e lui lo sa, non mollo! Non mi faccio scappare una persona così bella, matura, onesta, solo perché c’è la carrozzina di mezzo.
E finalmente Lui ha capito!
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