carrube ibiza

Mi chiamo Piero, ho 32 anni e sono laureato in “Scienze delle Comunicazioni”. Vivo a Milano e lavoro nella ditta di mio padre: faccio una specie di segretario. Fin qui niente di particolare, direte voi. Ma la mia vita in realtà ha una particolarità: vivo nel buio, da sempre. Sono un cieco dalla nascita. Non uno di quelli falsi, come si sente spesso raccontare in tv ultimamente. Magari lo fossi.

Da piccolo per me era normale tutto quel buio. Che ne potevo sapere di avere l’oscurità tutta per me. Non ricordo quando ho cominciato a capire che in me c’era un qualcosa di diverso, rispetto agli altri bambini. Sentivo quelle parole: visto, luce, guardami, mi vedi. Ma non sapevo il loro significato. «I colori…» diceva la Maestra, «ci sono molti, moltissimi colori al mondo…» e io mi chiedevo di cosa stesse parlando. Poi un giorno ma madre decise di provare a farmi capire quei vocaboli per me privi di significato. «Con le tue mani puoi sentire molte forme, ognuna diversa dalle altre. Vero?». Domanda retorica pensai. «sì, mamma». Risposta scontata, ma dove voleva arrivare?. «Ecco, figlio mio. I tuoi occhi non hanno questa capacità multipla. Tu puoi vedere solo un colore: il nero. Quello che vedi fin da piccolo però non è un colore ma l’assenza di tutti i colori». Mi girava la testa, ma volevo continuasse a spiegarmi. Anche se non mi pareva portasse nulla di buono.

«Continua mamma…».

«Quello che voglio dirti è che gli altri bambini con i loro occhi vedono cose che tu non puoi vedere».

Malgrado gli amorevoli sforzi di mia madre, non riuscivo a capire questa faccenda dei “colori”. L’unica cosa che avevo capito è che non ero come gli altri bambini. Certo un po’ di sospetti li avevo: che cos’era quello che chiamavano televisore? Da dove io sentivo solo suoni e parole. Anche la radio li produceva ma percepivo che c’era delle diversità. Ed i giornali? Ho sempre studiato toccando pallini in rilievo su carta. Mi capitava però libri o riviste in cui questi pallini non esistevano. Davvero non c’era scritto nulla?!.

Sono passati anni prima di capire realmente ciò che mi stavo perdendo. Anni in cui le persone me lo hanno ricordato ogni giorno: «tu potessi vedere…». Alla fine ho incominciato a rispondere «tu potessi sentire…». Sì, perché si lamentano le persone di essere poco ascoltate. Con me, di sicuro, non accade. Per me l’altro esiste attraverso i suoi suoni, il suo odore, il mio tatto. Le persone non son abituate a essere toccate senza “interesse”. Si pensa subito al sesso. Per me toccare vuol dire “vedere”.

Relazioni? Ecco. Che l’uomo non vedente possa avere un fascino particolare nelle donne, credo esista solo nei film. Così mi hanno raccontato. Nella vita reale non sembra che molte donne riescono a superare l’assenza di complimenti visivi. Il pavoneggio davanti al proprio maschio verace. I complimenti per l’intimo firmato o le scarpe tacco a spillo.

Avere una relazione con un non vedente, può ridurre il desiderio di curare il proprio aspetto? Questa può anche essere una provocazione ma neanche tanto.

Mi direte che «parlo da uomo ferito…”, come dice una canzone di cui ora non ricordo il titolo. Forse. Lo sono stato. Ma il mondo è sempre pieno di sorprese. La mia è stata a Ibiza.

Viaggiare è una mia passione. La gente comune viaggia per vedere, io per “sentire”. Il mio viaggio è fatto di profumi e ogni luogo sulla terra ne ha di diversi.

Due anni fa un amico mi consigliò di visitare Ibiza, anzi, annusare Ibiza. E così feci.

Organizzammo il viaggio, insieme, online. Per le vacanze ad Ibiza suggerisco il sito di logitravel.

Nel giro di due settimane mi ritrovai avvolto tra i profumi di carruba ovunque. Profumi aromatici e silvestri, di timo e rosmarino. Ero sempre con il naso allerta. Nulla però in confronto al profumo che sentii all’entrata di quel bar. Lei stava uscendo, io sbadatamente non cercai di capire le dimensioni della porta. Lei forse non fece caso che ero cieco e accadde ci scontrammo. Fu un attimo. Lei sul mio corpo, i suoi capelli sul mio viso. Quel profumo mi paralizzo, non riuscii neanche a chiedere scusa. Lo fece lei, frettolosamente e se andò lasciando quella scia così desiderabile.

Non so se fu destino ma due giorni dopo mi ritrovai nello stesso bar. Stavo al banco a prendere un caffè, quando quel profumo fu di nuovo vicino a me. Ordinò qualcosa e nel sentire la sua voce ebbi la conferma: era lei. Mi feci coraggio, o pazzia e gli chiesi, in inglese, se era lei quella dell’incidente di due giorni prima. Anche se io già lo sapevo che era lei, il mio naso non mente. Rispose di si.

Gli raccontai del perché non l’avevo vista, per scusarmi. Inizialmente sembrava imbarazzata, poi mi chiese come avevo fatto a riconoscerla. «Il suo profumo, non l’ho dimenticato…». Risposi.

Credo riuscii a percepire un suo sorriso. Parlammo qualche minuto delle nostre vacanze, poi mi salutò mettendomi una mano sulla spalla.

Pochi minuti, tutto finito. Ciao. Amen.

A che servono gli amici? Lo scoprii a Ibiza.

L’amico con cui feci il viaggio fermò la ragazza all’uscita e gli disse, sottovoce a mia insaputa: «Il mio amico non fa altro che parlare del tuo profumo. L’ho portato a Ibiza per annusare questa città ma l’unico odore che ricorda ora, sei tu. Ti lascio il nostro numero, casomai ti va di uscire insieme…». Lei fece un grande sorriso, questo lo so per certo perché me lo raccontò dopo, prese il numero e usci.

Il giorno dopo chiamò al telefono del mio amico. Lui me lo passò: «ti vogliono…» disse con tono stupidotto. «Chi?» risposi con tono ancora più stupidotto.

La riconobbi subito e mi si gelo ogni dove.

Quella sera ballammo insieme. Tutta la notte. Ballammo e parlammo. La strinsi così forte a me che dopo due anni è ancora tra le mie braccia. È diventata il mio amore. L’unico profumo che seguirei in capo al mondo.