Mi chiamo Erika, ho 32 anni e vivo a Torino. Laureata in lettere, lavoro in un bar. C’est la vie. Vivo da sola fin da quando sono diventata “donna”. Nel senso di maggiorenne. Non sono mai stata “mammona” o legata a doppia corda al padre. Gli voglio bene e loro ne vogliono a me, ma ognuno per conto suo. Penso di essere cresciuta migliore così, o quantomeno cresciuta.
La mia vita sentimentale penso sia nella disastrosità normale. Molti uomini, pochi, se non nessuno, Uomini, con la “U” maiuscola. Ma non importa. Vorrà dire che sto facendo una selezione naturale. Scartando scartando, arriverà il regalo. In realtà credevo fosse già arrivato. Vi racconto.
Non sono una che va a “caccia” di uomini, di solito mi faccio “cacciare” da loro. Non sono neanche una “preda” facile, anche se il mio essere appariscente spesso da questa illusione. Una sera, una delle tante, passate a scuriosare nel mondo real – virtual di internet, leggo un articolo di un ragazzo affetto da S.L.A. che lottava per provare la cura Stamina su di lui. Non vi lasciate ingannare dai termini che uso, ammetto la mia totale ignoranza sul tema. Ma rimasi colpita da questo ragazzo, così tenace, coraggioso. Passo le giornate a leggere delle battaglie più disparate, e leggere di chi lotta per vivere o morire, mi scombussola la classifica delle priorità.
Chiusi la pagina web ma non i miei pensieri rivolti a questa storia. C’era scritto nome e cognome del ragazzo e decisi di cercarlo. Eccolo. Trovato sulla “piazza” virtuale più frequentata del mondo cibernetico: facebook. Ci sono iscritta anch’io, lo confesso, ma ho una selezione più rigida che nelle squadre speciali americane.
Gli scrissi, probabilmente un sacco di stupidaggini retoriche. Ok, sono laureata, ma questo non vuol dire non ne scrivo. Diciamo che scrivo ugualmente stupidaggini ma in modo più forbito ed elegante: stupidaggini rimangono.
Non so se speravo rispondesse o gli scrissi solo perché mi andava di farlo. Fatto è che dopo due giorni mi risponde. Una lunga, simpatica, dettagliata, risposta. E adesso che faccio? Mi chiesi. Quello che sono di solito fare: mi getto con totale assenza di ragionamenti precauzionali. Gioia e dolore del mio carattere.
Ve la faccio breve. Nel giro di pochi giorni mi ha invitato a Roma, dove lui vive, in una sua conferenza. Mi sono subito messa a cercare diversi bed&breakfast in zona Roma e sono partita. Non so con quali aspettative, anche perché di solito non me ne faccia. L’unica certezza è che avrei conosciuto una persona interessante.
Arrivai giusto in tempo per la conferenza. C’era Marco, il suo nome, con medici al suo fianco. Lunga discussione sul tema scientifico a riguardo di questa nuova cura. Mi ritrovai catapultata in un mondo a me sconosciuto. Un mondo dove ci sono problemi molto peggiori di quelli che ho riscontrato nella mia vita ma penso pure in quella di molti altri. L’elemento più dirompente fu lo sguardo di Marco, arrabbiato ma allo stesso tempo niente che somigliasse al vittimismo o alla ricerca di solidarietà concessa per pietà. Ebbi subito voglio di quello sguardo. Lo volevo su di me. Da subito.
Non c‘era solo lo sguardo. Il suo corpo era altrettanto dirompente. Spezzava ogni immagine canonica del corpo umano. La spezzava ma non la distruggeva. Casomai la reinventava. Era come viaggiare in un mondo diverso, dove i suoi abitanti non avevano la nostra fisicità ma questo non toglieva interesse, anzi, lo procurava. Non dico che non rimasi spiazzata o che mi trovassi a mio agio. No. Di certo ero come bloccata. Ma del resto si rimane bloccati spesso davanti alla bellezza. No?
E’ nato tutto così. Senza un perché. Si è vissuto tutto così. Senza un “come sarà…”. E tutto è finito nello stesso modo. Senza un perché. Senza un “cosa è accaduto…”.
Lui adesso non c’è più e non solo per me. Non c’è più per nessuno. Tranne per le stelle.
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